Visita all’Acetaia Pahontu
Baone (PD), 06 settembre 2020
Per scrivere di questa esperienza devo come prima cosa rispondere alla domanda “conosci il vero aceto di vino?“. Ebbene, la mia risposta – ahimè – è no.
O per lo meno, non lo conoscevo fino a ieri.
Grazie all’ospitalità di Simona, ideatrice e creatrice dell’Aceto Pahontu assieme al compagno Mauro Meneghetti, abbiamo potuto scoprire e apprezzare un prodotto tendenzialmente sottovalutato e non sufficientemente valorizzato della cucina italiana.
L’Aceto Pahontu non è un aceto qualunque. Dimenticatevi qualsiasi prodotto “convenzionale” da grande distribuzione che sia presente sugli scaffali del supermercato o venduto nelle botteghe come “aceto di vino bianco”.
Pahontu è il frutto della ricerca e della passione per quello che dovrebbe essere riconosciuto a pieno titolo come un alimento, esattamente come lo è la materia prima dalla quale deriva, ossia il vino.
Questo aceto nasce da un processo lentissimo denominato acetificazione statica superficiale – anche detta “metodo primitivo” – attraverso il quale, in assenza assoluta di diluizione con acqua, il vino Moscato rilascia tutto il proprio corredo aromatico arricchendo l’aceto di un bouquet raffinatissimo.
Acidità imbattibile in tutte le sue evoluzioni, scalpitante e apertissima nella versione giovane, dove la fanno da padrona la persistenza della parte fruttata, un po’ più domata e rotonda quella che troviamo nel prodotto “finito”, che in realtà davvero finito non è mai. Infatti, dopo un lungo riposo in barrique di rovere appositamente ricondizionate per accogliere il nobile fluido, l’aceto passa al vetro per poi essere distribuito, ma la sua vita continua perché esso è di fatto un alimento vivo. Chiedetelo ai suoi fautori: vi faranno notare come un sottilissimo velo di batteri “madre” affiori e si possa osservare anche nella bottiglia che lo accoglie per la vendita.
Poco fa ho parlato di ricerca, e non a caso. Simona e Mauro, infatti, selezionano personalmente, con affiatamento e competenza, il vino d’elezione per la produzione del loro Pahontu. Unicamente vini senza solfiti, rivelatori delle peculiari sapidità del terreno, espressione sincera e senza compromessi di un territorio.
Ne scaturisce un aceto da monovitigno dal profilo organolettico penetrante: corpose note fruttate, equilibrato e bilanciato il sorso che invade lingua e palato piacevolmente e richiamando la tipicità del moscato.
Lo stimolo all’abbinamento trova le sue migliori intuizioni nella pasta e fagioli, sulle verdure sia fresche che cotte, sulle uova sode (buonissime le uove di quaglia che Simona ci ha offerto!) ma anche nella preparazione di pietanze di carne, legumi e nelle insalate di mare.
Aceto Pahontu ha una veste molto distintiva: viene posto in bottiglie di vetro bianco di forma cubica, dalle quali traspare in tutto il suo splendido colore, un colore illimpidito da un filtraggio delicato a tutela della sua vivacità.
Aceto Pahontu continua a vivere lì, finemente racchiuso in quelle piccole bottiglie, uno scrigno minimale e personalizzato che è molto bello esporre, conservare e senza dubbio regalare!
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